Alla morte di una persona l’eredità viene devoluta ai chiamati a succedere, quando questi accetteranno l’eredità (espressamente o tacitamente), sorge la comunione ereditaria, che investe tutto il complesso dei beni del de cuius.

Non fanno parte della eredità i beni per i quali il de cuius ha già disposto in vita.

La comunione si scioglie con l’atto di divisione con il quale i coeredi dispongono dei diritti su tutti i beni in comune e convertono la loro partecipazione in diritto esclusivo su beni determinati, corrispondenti al valore della quota aritmetica già spettante a ciascuno di essi.

La divisione ereditaria può essere giudiziale o stragiudiziale. La divisione giudiziale non presuppone necessariamente un contrasto tra i coeredi, in quanto ognuno di essi ha il diritto di chiedere la divisione in sede giudiziale.

Il contratto di divisione quando vi sono ad oggetto beni immobili, richiede la forma scritta ai sensi dell’art. 1350 n. 1 cc, anche perché l’atto è propedeutico alla trascrizione che viene richiesta per la produzione di effetti nei confronti di terzi.

La divisione ereditaria deve ricomprendere tutti i beni ricadenti nella comunione e deve intervenire fra tutti i coeredi.

Può accadere anche che, con pieno accordo di tutti gli interessati, la divisione possa essere anche parziale interessando solo alcuni dei beni del compendio ereditario. In questo ultimo caso la comunione sui restanti beni indivisi persisterà fra i coeredi.

Ciò non è possibile per la divisione giudiziale: questa deve intervenire per tutti i beni ad oggetto.